Young, fresh and new

Young, fresh and new

Tiepida giornata di fine inverno, argine del Piave. Strade bianche, pace assoluta. Da un vecchio Ducato viene fatta scendere una Suzuki DR rosso mattone dell’86, decisamente lontana dall’endurone di serie che tutti ricordiamo. Accorciata, spogliata, resa più dolce nelle curve grazie al nuovo codino con singolo faro integrato. Rumorosissima. Qualche bella pestata sul kick-start (abbastanza da rimpiangere di non avere la batteria a piena carica) ed ecco che istantaneamente si infrange la quiete paradisiaca. Lo scarico basso e corto non conosce il termine “db-killer” e sputa selvaggio tutta l’irruenza del monocilindrico giapponese. Alziamo un po’ di polvere.

Altro che soprammobile da chiudere in un Bike Show, questa è puro divertimento, di quello un po’ bifolco, alla Pasquetta via. E non si fa nemmeno in tempo ad andare su e giù dall’argine una manciata di volte che partono le grida infuriate (rigorosamente in dialetto Veneto) da una casa vicina. Di tutto punto gli rispondiamo a tono, presi dall’euforia del momento. La DR fa davvero un casino infernale, ma dopo un po’ ci si abitua. Alza terra, sassi, alza l’adrenalina. È perfino più agile del modello di serie e zigzaga tra gli alberi con una nonchalance degna di un motocross, categoria da cui si ispira per la tabella anteriore che integra la doppia fanaleria e un mozzicone di parafango, tutto in un unico componente.

La fermiamo un istante vicino al fiume per gli scatti di routine e iniziamo una lunga chiacchierata sul futuro del mondo custom e sull’attuale tendenza che, come in questo caso, sta investendo il mondo dei vecchi “enduroni”, ora come non mai mezzi prescelti per la personalizzazione estrema. I fratelli Coppiello, a.k.a. NorthEast Customs, sono young (molto), fresh and new, una ventata di freschezza nel panorama del customizing italiano con all’attivo un paio di special (su base Triumph e Royal Enfield) da manuale, a cui si aggiunge questa Suzuki dal sapore Dirt Track. Sono abili, genuini e appassionati. Pensate che, come moto di tutti i giorni, possiedono rispettivamente una CB 900 F2 e una CB 500 Four, chiaramente Honda. Chi, al giorno d’oggi, in un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, guida simili moto come daily driver? Pochi, ve lo assicuro. Forse non significherà nulla, ma è pur sempre un segno di distacco dai soliti canoni. Il sole intanto sta inesorabilmente calando, tutto si tinge d’arancione ed è tempo di tornare alla base (il Ducato).

Non prima di aver fatto uscire dai gangheri, per l’ultima volta, il furibondo e intollerante “vicino di casa” con qualche metro cubo di polvere alzata a forza di gomma tassellata. La pioggia non si vede da mesi e le strade non asfaltate sono meglio di una macchina del fumo se non ci si fa scrupoli con la manopola del gas. Ammirando come semplici decorazioni a pinstriping (firmate Mukkio) possano impreziosire anche una maxi enduro, si riflette sulla spesa irrisoria di un simile capolavoro: la base di partenza si acquista a peso di ferro e, tra pezzi nuovi e mano d’opera il preventivo non oltrepassa il costo medio di un qualsiasi scooter 125. C’è chi dirà che, giustamente, non è mezzo per viaggiare, quindi perché criticare tanto le special da vetrina se nemmeno questa permette lunghe percorrenze.

La risposta sta nel Peter Pan che è in noi, in quella recondita e malcelata voglia di divertimento a due ruote che solo un mezzo simile può assecondare. In questa configurazione è la moto perfetta per fare i (scusate il termine) cinghiali sullo sterrato o per un frastornante aperitivo, ma con uno scarico più civile non impedisce certo di macinare chilometri senza rischiare la condanna all’ergastolo in caso di incontro ravvicinato con le Forze dell’Ordine. Inutile negare, ne vorreste una in garage, vero? Magari con la scusa di regalarla al figlio o di usarla solo in estate. Comunque la pensiate, io ne voglio una, poco ma sicuro.